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venerdì 9 maggio 2014

E dentro gli occhi

E dentro gli occhi
formiche formiche formiche
formiche formiche

(Kakio Tomizawa 1902-1962)


Nel  Paese dove si legge poco, anzi, sempre meno, e dove scrivono tutti, la vita del "lettore" è veramente molto difficile. 
Il "lettore" è arrivato (ovvio) anche al Salone del Libro. Lo vedo aggirarsi tra gli stand delle case editrici, andare su e giù nei lunghi corridoi ex FIAT del Lingotto addobbati per l'occasione per i nuovi operai della lettura. Lo osservo. E' in fila ovunque. Per l'incontro, per l'autografo, per il bagno. 
Ma cosa  gli succede??? Lo vedo così così...

E' dura per il "lettore" districarsi in questa marea di titoli, è dura individuare dove si nasconda la letteratura!



(Salone con tappeto)

Eccolo lì! Lo vedete? Ohhh... Ci si è accasciato tra un cartonato di Cracco e un plastico della location dell'ultima saga di "GothamFurore". Tra le mani tremanti, serra sdraiato l'ultima uscita in vetta alla classifiche: "Mio figlio spiegato a mio figlio scritto con mio figlio".
Spazio! Dategli aria! Dagli occhi sgranati a spirale vede solo formiche, formiche e formiche.

Giace a miei piedi tramortito da psicoanalisti scrittori, cantanti scrittori, poliziotti scrittori, giornalisti scrittori, calciatori scrittori, politici scrittori, psicoanalisti scrittori, filosofi scrittori, cuochi scrittori, comici scrittori, magistrati scrittori, ricercati scrittori, affaristi scrittori, ex-grassi scrittori, preti scrittori...



giovedì 20 febbraio 2014

Chi vuole fare il Ministro dell'Economia in Italia?

Vacilla, vacilla
la mente dell'uomo-
trappola del lume
(Kakio Tomizawa 1902-1962)

In tempi dove nessuno vuole fare il Ministro dell'economia in Italia, oggi uno haiku scritto, guarda un po', proprio da un economista giapponese. 

Kakio mollò gli studi economici e si dedicò completamente alla poesia che spesso la critica definisce straniante, malinconica e "oscura". Ma letta specularmente a quello che riguarda le povere cose italiane di questi giorni, mi sembra che brilli per la sua sfolgorante chiarezza.

Aggiungo un altro haiku sempre suo, meraviglioso, che userei tutti i giorni appena finisco di leggere le prime pagine sulle faccende italiane:

E dentro gli occhi
formiche formiche formiche
formiche formiche

A proposito, se interessa argomento formiche & lucciole (bellissime!) date un'occhiata qui !



lunedì 27 ottobre 2014

Vorrei scendere

E dentro agli occhi
formiche formiche formiche
formiche formiche
(Kakio Tomizawa 1902-1962)



Eccone un'altra! Mi riferisco a quel tipo di notizia che ti fa sgranare gli occhi, quella che ti rileggi per capire... se hai capito bene. Quella da "formiche" nelle pupille.
"Bus separati per i Rom?" - penso tra me e me - "Quindi i casini accadono non solo sugli autobus romani (post QUI) ma anche nella periferia torinese...".
Continuo nella lettura della notizia (qui) e capisco che, poichè i borseggi erano troppi, la società dei trasporti del comune di Borgaro che fa? Decide di saltare la fermata nei pressi del campo Rom, da dove passava, sdoppiandola: d'ora in avanti ci saranno un autobus che salta la fermata e che sarà frequentato da cittadini non rom e integrati, e un altro autobus che sarà esclusivamente per "loro".
Gran trovata. Nel mondo delle soluzioni possibili, proprio questa? Dove finiscono esempio, integrazione, eventuali (e sacrosante) sanzioni? Dove finiscono convivenza, condivisione, tolleranza? Ai margini, nei ghetti o nelle discariche della cosiddetta "società civile".

Vorrei scendere.


(Interno senza titolo #)



Questo lavoro dell'artista Lucia Veronesi (guarda il sito), che da tempo lavora sul tema dell'accumulo, mi sembra la perfetta didascalia fotografica al post di oggi. Veronesi usa la tecnica del collage, sperimenta pittura e video arte e ha ideato una serie di wunderkammern dove, con minuscoli ritagli di riviste e giornali, ricrea disorientamento e disordine in una personale  "cattività".
Una serie di piccole, e portatili, discariche affettive che vi invito a conoscere.












mercoledì 21 ottobre 2015

Formiche

Passano le formiche
tra l'umido e l'asciutto
delle case di cemento
(Yamaguchi Seishi 1901-1944)




Formica nel traffico indosserò il casco, inforcherò il motorino e schiverò il pericolo di buche e di quelli che sbucano, di pioggia sul parabrezza che rende tutto baluginante.
Formica nel traffico spierò negli abitacoli, i messaggi digitati al volo con un occhio allo specchietto e l'altro alla tastiera.
Perlustrerò i posti guida, i sedili, i cruscotti. Leggerò i titoli di giornali buttati sul sedile di dietro. Saluterò mocciosi sconosciuti, osserverò vecchi issati davanti, immobili, stretti nelle loro cinture di sicurezza, vicini a figli silenziosi che guidano assorti. 
Annuserò i sudori confusi dagli arbre magique, i profumi di pizzette della merenda e i dopobarba. 
Ascolterò jingle, navigatori, spot pubblicitari a metà, pezzi di canzoni. Melodie anni ottanta, e che mi resteranno appiccicate per un po' in testa, bassi anni novanta che mi fanno tremare il cervello, canzoni degli anni zero di xfactor che non riesco a seguire.
E anche adesso, tra l'umido e l'asciutto, nel cemento autunnale di una Roma tutta da attraversare, da raggiungere e da abbracciare, passano le formiche che la popolano.


(Tokyo a Roma nord)





  
   

giovedì 17 luglio 2014

Libro in valigia

Meraviglia del mondo
le ali di farfalla-
formiche le trascinano
(Seisensui Ogiwara 1884-1976)

Con Carlo D'Amicis, con il quale da anni condivido fisicamente lo spazio di una redazione e le scelte editoriali di una trasmissione culturale, questa volta entro in un bosco.
Qui si svolge la storia che mi racconta - o devo chiamarla favola, mito - di questo suo "Quando eravamo prede" appena uscito per minimum fax. Tutto è "meraviglia del mondo" in questo romanzo dove Toro e Formica parlano, Alce si ubriaca e Farfalla ha "lunghe ciglia e labbra disegnate" e ci avverte:

"Non abbiamo sempre detto che niente, a questo mondo, è più perfetto della perfezione animale?"
"Non siamo più animali, Agnello".
Fece una breve pausa. Poi aggiunse: "Né siamo ancora esseri umani".
"E cosa siamo, allora?"

Dopo quello segnalato la scorsa settimana (leggi QUI) mi imbatto nuovamente in un romanzo dove sacro e biblico sono elementi importanti della narrazione. In questo "Quando eravamo prede" la scrittura asciuttissima restituisce al lettore un' essenzialità alta, e allo stesso tempo "altra", che definisce perfettamente l'atmosfera edenica di un bosco ai confini di uno strano disegno divino.





D'Amicis è lo scrittore dallo sguardo bambino che - ecco l'elemento che me lo fa piacere- perde l'innocenza parola dopo parola, e che guarda a un passato amniotico comune con nostalgia ed efferatezza. Alcune immagini dei suoi libri mi sono entrate nella testa con una forza subdola e delicata senza lasciarmi scampo. Il ticchettio dei tacchi a spillo di un libro di tanti anni fa risuona ancora nel rapporto tra Alce e Cagna di questo libro. Agnello, e il suo essere vinto come Alce, mi diverte sempre e ritorna, inquietandomi ogni volta. Questo romanzo è corale, a parlare sono strani esseri in divenire, creature di passaggio a metà tra l'animale e l'umano, che possono anche diventare un albero. 
L'autore-creatore prende in mano quella stilla, quel cromosoma, quel soffio vitale, quella costola che unisce e divide i mondi, umano e animale, e la offre al lettore con la serietà di un bambino che stacca un boccone dalla merenda per offrirlo a un adulto. 
Una specie di comunione per gioco dove tutti giochiamo a fare l'Agnello sacrificale.   

E' un gran bel libro, questo, dove siamo cacciatori e prede e il limitare del bosco fa paura e l'amore trionfa.
E' intenso e filosofico. Religioso e carnale. 
Buona lettura!








                   

venerdì 17 gennaio 2014

Ascoltando (pochi minuti) la difesa della De Girolamo


D'autunno la cicala-
caduta riversa
sèguita a frinire.
(Issa Kobayashi 1763-1828)





Sì. La cicala si adatta bene, viene anche da sorridere anche se è meglio rimanere seri. Aggiungo questo, allora, dove concetti come etica, educazione, morale, rimorso sono concentrati e espressi nella consueta trasparente brevità.Strano: dalle cicale alle... formiche. Eccolo:




Uccido la formica-
i miei tre bambini
m'hanno visto.
(Katō Shūson 1905-1993)



martedì 4 febbraio 2014

Insetti vari in Parlamento e divagazioni per sopravvivere

Mentre in Parlamento siedono cicale e rumoreggiano grilli sotto lo sguardo di formiche avvilite (vedi etichette post), mi distraggo con alcuni haiku che hanno la "lucciola" come kigo, il riferimento alla stagione, e con alcune divagazioni in libertà.

Lucciole ovunque
rieccomi
nel mio villaggio natale
(Santoka 1882-1940)


Tristezza-
per il bambino ammalato
una gabbia di lucciole
(Yoshikawa Ryota 1718-1787)  




L'immaginario visivo giapponese di manga e anime spesso richiama quello classico tradizionale, come succede in questo cartone. Sempre in tema di lucciole, ecco un esempio:


                                                         

Le divagazioni continuano. Alcune smorfie eccessive dei visi accigliati, stupiti o divertiti di alcuni ritratti in stile Ukiyo-e, come questo in basso, non rimandano forse alle buffe faccette dei cartoni tipo Lady Oscar, Goldrake, Mazinga, Doraemon che imperverseranno due secoli più tardi




(Ritratto di Otani Onji III di Sharaku, attore kabuki, 1794. Copyright Tokyo National Museum)





martedì 20 maggio 2014

Grillo Vespa

Fisso per un lungo istante
la mia ombra
stridore di insetti.
(Shiki 1867-1902)

I giornali aprono con la campagna elettorale per le elezioni europee e con Grillo intervistato ieri da Vespa. E io li chiudo. Esco. È una bella giornata di sole, con tante ombre da fissare.


(Eccone un'altra!)

Altri haiku con gli insetti? Osservando le cose più piccole e apparentemente insignificanti, i poeti zen hanno dedicato a formiche, cicale, grilli, pulci, farfalle e pidocchi tantissimi versi.
Qui una scelta di tre link per voi: ZzzzzcrrrrrrrGhghghghhg. E attenti a dove mettete i piedi!





lunedì 13 febbraio 2017

Denti

Ha i capelli bianchi 
li pettina di rado
ha i denti storti
e indossa ampie tute informi
su un corpo che molte
donne vorrebbero avere.
(Charles Bukowski "Per la vecchia denti-storti")


In questa eccentrica dichiarazione d'amore alla madre della sua unica figlia, Bukowski racconta di zucchero messo fuori per le formiche e di vite di sicuro più eccitanti, più belle e originali di quella vissuta dalla protagonista. E di denti

Schiudi la bocca ed ecco il tuo identikit, chi sei, da dove vieni, quanti anni hai e quanto fatichi, quante privazioni hai sopportato fin qui. 

Sui denti ha lavorato anche un gruppo di stu-denti (!) dell'Istituto Ettore Majorana di Torino inventando lo spazzolino con dentifricio incorporato. Lo hanno chiamato "Tur'n'smile", giri la rotellina del supporto dello spazzolino e sorridi, perché la pasta uscirà direttamente dalla setole (leggi QUI)
Sorrido anche io, io che odio lavarmi i denti soprattutto la sera prima di andare a dormire.
Questa cosa che gli zuccheri si attaccano alla dentina, che i denti si bucano se non li lavi e che quel buon gusto di cioccolatino lo devi cancellare velocemente riempiendoti la bocca di stupido mentolo, non mi è mai andata giù. E poi sono pure trentadue e pure piccoli e da lavare due, anche tre volte al giorno. 
(Era molto meglio una gengiva con uno solo, sopra, e un altro su quella di sotto. Molto meglio. E poi un kit fai da te di montaggio e smontaggio in caso di usura. Utile e low cost, no? Ma nessuno sembra interessato alla mia idea.)



(quasi Tartaro)






lunedì 29 gennaio 2018

Pic-nic


Questo cielo lo chiamo firmamento
E cade su di noi soffice soffitto
Senza ganci o tiranti, come telo
Di un circo che smonta
E lascia a terra briciole soltanto,
Stelle esauste. Ma quante,
Piccola volpe apparsa tra gli abeti!
Ci hai stretto nel cerchio dei tuoi passi
Affamati, hai disegnato un raggio
Lungo il quale sei giunta fino a qui
Alle nostre mani e nel buio
Soltanto l'argento della tua coda.
(L'ospite naturale di Roberto Deidier)


Non so perché, e fa pure freddo, ma ho nostalgia del pic-nic.
Personalmente, poi, mai fatti, o molto pochi, insomma, non in un numero tale da divenire abitudine o da creare ricordi struggenti. Eppure.
Prima di tutto mi chiedo, ma si fa ancora il pic-nic? Riempire la cesta di vimini con tupperware che schioccheranno a ritmo di pasta al forno e affettati, si usa ancora?  
Nella mia testa svolazza la bella tovaglia a quadrettoni, da una parte il thermos per il caffè (che meraviglia, ci voleva!) e i piatti e i bicchieri infrangibili. Attento alle formiche, quello è il coltello del salato, spostiamo la sediolina più all'ombra.
Piccola volpe apparsa tra gli abeti!
Amerò sempre il pic-nic.


(posto giusto)

giovedì 4 agosto 2016

Erbe (dailyhaiku d'estate)

E là si sdraia
e là resta sdraiata
l'erba in giardino
(Ryōkan 1758-1831)



Così sto. E non ne voglio sapere. Immobile, mi faccio rintronare dalle cicale, solleticare dalle formiche. Mi pizzica qualcosa sulla gamba. Sulla testa mi ronza solo un bombo, elegante nonostante il nome ridicolo, "bombus pratorum", lo osservo compiere piccoli voli, precisissimi. A scatti, si scopre il corpicino di velluto arancione. 
Il suo ronzio su tutto. 
Così sto, erba sdraiata nell'erba, mentre questa estate si srotola sotto e sopra di me.


(Bombi e non bombe)

lunedì 15 ottobre 2018

Il riposo della domenica


La primavera da lontano
sogna d'essere qui.
È quando un canto
qualunque d'uccello
abbatte massicci portali di gelo,
è quando assicura: non è stanca di noi
non smette la terra
di farsi brucare.
Butta su le forme i sapori
per farsi mangiare. Da scuri granelli
diventa animale - e anche pensiero -
sostanza di noi.
(da "Le giovani parole" di Mariangela Gualtieri)

Mi riposo leggendo di animali. Una volta le formiche, un libro con la copertina azzurra ne narrava ogni tic, per me era una bibbia alternativa, micro energumene che via via nella lettura mi apparivano sempre più consapevoli, votate al misterioso, ineluttabile, loro mandato con una certa idea dell'esistenza. E le spiavo, mentre si infilavano nei buchi, incuranti della mia devozione, sempre qualcosa di urgente da risolvere, addosso una briciola, un frammento tremante, o quando nella mia cucina, zona lavello, si radunavano in gruppetti di sei sette. Mi sembravano bellissime, dee da venerare (qualcuno più bravo di me le aveva suddivise in diecimila specie), quanto il mio occhio può apparirgli gigantesco o il mio polpastrello quando ne punta una e diventa una collinetta che interrompe la loro strada invisibile e la solleva in aria e lei sempre lì, sopra, miracolosamente incollata al mio dito. Poi fu il turno delle farfalle, imparai che certe usano le navi per raggiungere luoghi lontani e caldi, alle loro ali polverose, inadatte per sorvolare il mare, hanno supplito così, con un passaggio, attaccate a una trave, riparate negli interstizi della ferraglia. E i ditteri svedesi, piccoli gioielli volanti, puf, sono caduta nel loro retino. Poi i lupi, e la mia testa tra le api, che angoscia una possibile loro estinzione, mi colavo sulla lingua un cucchiaino di miele come oro dolcissimo e tifavo per lui, alla faccia di cappuccetto. La mia domenica l'ho dedicata agli uccelli, il corvo è un mezzo genio, e chi ci pensava, il canto che imparano ascoltando i propri simili, e che varia, cambia a seconda del gruppo e della zona, una specie di dialetto musicale, ma dimmi tu.