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martedì 6 maggio 2014

In modo semplice

In modo semplice
se ne va la primavera
tra le erbe dei prati
(Issa 1763-1827)


("Erbe dei prati". Basilico e Aneto. Il mio massimo raggiunto!)

Di solito nel blog non parlo quasi mai del mio lavoro ma questo haiku mi ha fatto venire in mente un incontro indimenticabile di tanto tempo fa, e una non-intervista ad un intellettuale poco conosciuto, scomparso da qualche anno, il paesaggista di giardini Ippolito Pizzetti.

 ***

Il pomeriggio dell'appuntamento Roma era ventosa, a tracolla portavo i 15 Kg del nagra, un registratore a nastro fedele ma pesantissimo, e il motorino non partiva.
Finalmente metto in moto e, a dir poco sbilanciata, raggiungo incolume e stralunata casa Pizzetti (la mattina fui anche ripresa, ho rimosso il futile motivo, da una mia capa di allora, odiosamente snob, e la cosa mi frastornò non poco). Suono. Mi apre, ci presentiamo e cortesemente mi introduce nel suo studio per l'intervista. 
Ancora in tilt mi butto sul nagra, cerco di mettere su una bobina per la registrazione, le dita vanno per conto loro e il nastro le segue. START - OFF - START. Ecco, partiti!
Niente pile. CLIK... CLAK... Tutto immobile. Sto per mettermi a piangere.


"Vuole una tazza di tè?" mi chiede, alzandosi dal divano e scrollandosi di dosso un gatto che sembrava un cuscino fino a quell'istante.
Pizzetti e il gatto mi fanno felpatamente strada in un cucinino incasinato quasi come lo studio, pieno di foto e di ritagli incollati alle pareti. Lo osservo preparare il tè. Scosta un libro dal tavolo, dispone due tazze per noi e sorridendo:
"Certe volte le cose vanno storte...se le va, intanto,  le mostro il mio terrazzo."
Mette il bollitore sul fuoco e saliamo su.

(Foto trovata in rete. Visto? C'è anche il gatto! W il web!!!)
Eccoci di sopra. Un terrazzo classico di Roma nord, la Roma un po' banale e un po' palazzinara, non certo quella "delle terrazze". E quello che vedevo non era l'azzimato giardino pensile che immaginavo, decorativo e un po' stiloso, no. Niente targhette o campane di vetro per germogli misteriosi, soffiate a mano da un artigiano inglese ecc..ecc.... Nessun raro attrezzo con impugnatura d'osso magari ereditato da Russell Page. Niente impianto di irrigazione vaporizzante, gocciolante o diluviante. Forse usava pure l'innaffiatoio, chissà! 
Non ricordo bene. Ma piante, piantone e piantine poggiate ovunque, sì. In alto, su strani supporti, alcune più in basso, altre, tante, per terra. I vasi erano diversi l'uno dall'altro. Ciuffi verdi, sbuffi ingialliti e lunghi penzolavano al vento. Imperava il caos degno della scrivania di un intellettuale o dell'officina di un artigiano. 
Aggirandosi nel suo bellissimo pazzo terrazzo terrazzo, mi diceva:
"Vede, qui metto le piante che ce la fanno, che resistono: quelle che vede qui sono originarie di queste zone e stanno bene... Ecosistema e paesaggio vanno, devono andare d'accordo. Devono essere rispettati. Pensare un giardino significa reinventarlo rispettando la natura i suoi ritmi, i suoi colori, non disporre in modo geometrico o artificioso. Qui ho le aromatiche... 
Ma poi, sa che le dico? Con gli anni mi scopro amare più i parchi pubblici che i giardini privati!"

Siamo scesi e ci siamo presi il tè. Mi sorrideva con un'aria gioviale e saggia. Era un uomo coltissimo, un fine letterato e traduttore, conosceva culture diverse e, pur occupandosi di una delle cose più snob in assoluto, il paesaggio dei giardini, non aveva quell'aria "falso-bloomsbury". Era gentile, disponibile, ironico. Semplice.
Il suo tè era profumatissimo di cannella. 
Indimenticabile. 




(Tazze in posa. Mie.)
NB
Lo "haiku - dedica" di oggi è stato composto da Issa, il nome di Yotaro Kobayaschi, che in giapponese significa "tazza di tè". Il perchè puoi leggerlo QUI e QUI o anche cercando "Issa" tra le etichette a destra.







sabato 17 dicembre 2016

Sorprese

Domani arriverò.
Cucinando verdure selvatiche
in tua attesa
(Santōka 1882-1940)

In questo freddo dicembrino, un haiku per me. Che sa di attesa, di amicizia e di sorpresa. 
Il mio libro me ne sta offrendo tante di sorprese. 
Le ultime tre le appunto qui:

- un amico che non vedevo dai tempi dei tempi e che, grazie al blog e poi al libro, si è fatto vivo. Il filo non si era interrotto, anzi, e al bar, era tutto com'era anni fa in quei pomeriggi fatti di niente, di ore sospese nell'aria che ricordo, eternamente, primaverile. 

- una signora gentile sulla mia non-intervista a Ippolito Pizzetti. Lo conosceva bene, era sua grande amica, conosceva il terrazzo pazzo che descrivo, "quante cene fatte lassù", e la gatta nera che spiumava i cuscini. E mi ha detto che regalerà il mio libro alla figlia del grande (e simpatico) Pizzetti, l'intellettuale esperto di giardini e umanità.

- la recensione di Paolo Lagazzi sulla nobile rivista letteraria "Poesia". Mi inorgoglisce ogni volta che la rileggo, (sono a quota sei, otto?). Lagazzi è uno studioso e critico letterario, serio conoscitore di quanto io un po'...vado appena cianciando. Ma allora qualcosa ho visto di giusto, mi ripeto mentre la rileggo, (nona volta?) raccontando del mio viaggio in motorino con Santōka! E sorpresa nella sorpresa: il maestro zen di Lagazzi era appassionato di Santōka (l'ha detto al telefono, quando l'ho cercato per ringraziarlo di quanto aveva scritto). 

Tre sorprese tutte per me, che sanno di anni passati, emanano calore umano. E con questo freddo, non è niente male. 
Vado a mettere sul fuoco un po' di verdure pure io, va'...


("Poesia" di dicembre. Il mio blasone)



   

mercoledì 27 luglio 2016

Giardino

Quello che leggerete è un post che avevo pubblicato a marzo. Pia Pera, autrice di un libro che mi è caro, è mancata ieri. Riposto. 
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Giorno di primavera
si perde lo sguardo 
in un giardino largo tre piedi
(Shiki 1869-1902)


Leggere "Al giardino ancora non l'ho detto" serve, è utile. Rigenera, smuove e tocca, come succede quando si affondano le mani dentro la terra. 

Pia Pera annota il suo declino fisico in un modo alto e schietto come solo chi guarda "laggiù" può permettersi di fare, e riesce a darci conto del grande mistero e di minuscole umane meschinità con la medesima acutezza. 
Guarda a sé come un giardiniere guarda a un ramo malato, con la stessa perizia, con la stessa acribia con cui analizza una foglia che sta appassendo senza un motivo plausibile. E' come se girasse e rigirasse se stessa fra le sue stesse mani, si osservasse sempre più da vicino. Il mondo delle letture che le va incontro sembra salvifico e insieme portatore di sgomento ulteriore.   

Sfrondare e potare permettono una nuova strana libertà.

Qualche amico che capita da quelle parti, alcune presenze mute e domestiche, luoghi visti o solo immaginati. Macchia, il cane fedele che gioca con lo stecchetto tra le piante nominate una per una, chiamate con il loro nome botanico, e che io mi affanno a cercare in rete, tentando di rimettere al suo posto almeno una cosa. 
E mi domando perché questo genere di giardinieri, questi coltissimi giardinieri per sbaglio come Vita Sackville West o quelli "senza giardino" come Ippolito Pizzetti, mi siano sempre sembrati esseri superiori. Sanno dare il nome alle piante, può essere questo? Può essere solo questo? 

E' una storia piccola, dentro un orto sempre più complicato da attraversare e che appassisce insieme a chi ne ha avuto cura ma è anche un racconto sereno che sa di incontri, di libri letti, di grandi viaggi e di lingue studiate, amate e tradotte.
Trovare le parole per l'indicibile o poterle dare a una pianta, mi sembra la stessa cosa.


Aggiungo che su "Al giardino ancora non l'ho detto" (ed. Ponte alle Grazie) nulla è stato scritto di più caro delle parole dello slavista Francesco Cataluccio che vi riporto in questo link QUI.

giovedì 17 marzo 2016

Giardini e giardinieri

Giorno di primavera
si perde lo sguardo 
in un giardino largo tre piedi
(Shiki 1869-1902)


Leggere "Al giardino ancora non l'ho detto" serve, è utile. Rigenera, smuove e tocca, come succede quando si affondano le mani dentro la terra. 

Pia Pera annota il suo declino fisico in un modo alto e schietto come solo chi guarda "laggiù" può permettersi di fare, e riesce a darci conto del grande mistero e di minuscole umane meschinità con la medesima acutezza. 
Guarda a sé come un giardiniere guarda a un ramo malato, con la stessa perizia, con la stessa acribia con cui analizza una foglia che sta appassendo senza un motivo plausibile. E' come se girasse e rigirasse se stessa fra le sue stesse mani, si osservasse sempre più da vicino. Il mondo delle letture che le va incontro sembra salvifico e insieme portatore di sgomento ulteriore.   

Sfrondare e potare permettono una nuova strana libertà.

Qualche amico che capita da quelle parti, alcune presenze mute e domestiche, luoghi visti o solo immaginati. Macchia, il cane fedele che gioca con lo stecchetto tra le piante nominate una per una, chiamate con il loro nome botanico, e che io mi affanno a cercare in rete, tentando di rimettere al suo posto almeno una cosa. 
E mi domando perché questo genere di giardinieri, questi coltissimi giardinieri per sbaglio come Vita Sackville West o quelli "senza giardino" come Ippolito Pizzetti, mi siano sempre sembrati esseri superiori. Sanno dare il nome alle piante, può essere questo? Può essere solo questo? 

E' una storia piccola, dentro un orto sempre più complicato da attraversare e che appassisce insieme a chi ne ha avuto cura ma è anche un racconto sereno che sa di incontri, di libri letti, di grandi viaggi e di lingue studiate, amate e tradotte.
Trovare le parole per l'indicibile o poterle dare a una pianta, mi sembra la stessa cosa.


Aggiungo che su "Al giardino ancora non l'ho detto" (ed. Ponte alle Grazie) nulla è stato scritto di più caro delle parole dello slavista Francesco Cataluccio che vi riporto in questo link QUI.