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giovedì 22 marzo 2018

Tramonto



Le occasioni per arretrare sono finite
si corica al tuo fianco l'orizzonte
e il sole non fa più rumore


In merito alle dichiarazioni di Enrico Zucca e alle polemiche sull'uso della parola "torturatori", consulto il vocabolario Treccani chiedendomi cosa c'è di sbagliato nell'usare questo aggettivo, o di così nuovo rispetto a quanto già acclarato nelle indagini, aggettivo derivato, appunto, dal sostantivo "tortura":

tortura s. f. [dal lat. tardo tortura, propr. «torcimento», der. di torquēre «torcere», part. pass. tortus]. – 1. Ant. nel sign. etimologico di torcimento o torcitura, per indicare sia l’atto del torcere sia il punto in cui qualche cosa è torta, piegata in curva o a gomito: E già venuto a l’ultima tortura S’era per noi (Dante, Purg. XXV, 109-110), eravamo giunti all’ultimo giro (ma alcuni intendono «tormento»). 2. a. L’azione, il fatto di torcere le membra a un imputato o a un reo, per indurlo a confessare o per punizione. Per estens., t. legale o giudiziaria, e istituto giuridico della t., attuati dall’antichità fino all’Ottocento (oggi ripudiati, almeno formalmente, da tutti gli stati), e consistenti in varie forme di coercizione fisica applicate a un imputato, più di rado a un testimone o ad altro soggetto processuale, allo scopo di estorcere loro una confessione o altra dichiarazione utile all’accertamento di fatti non altrimenti accertati, dei quali si debba tener conto nel definire il giudizio: dare, applicare la t.; patire, subire le più atroci t.; sottoporre a t.; mettere alla t.; strumenti di t.; la t. della corda (v. corda, n. 5 a); la t. del fuoco, dell’acqua, consistenti nel bruciare le piante dei piedi o nel far ingurgitare grandi quantità d’acqua. b. estens. e fig. Qualsiasi forma di coercizione, anche solo morale, avente gli stessi scopi: una raffinata t. mentale; oppure, qualsiasi violenta coercizione per ottenere indicazioni di vario genere, fuori dell’àmbito giudiziario: con le t. riuscirono a ottenere dai prigionieri le rivelazioni che cercavano; lo strascinavano alla sua casa, e con tortura di minacce e di percosse, lo costringevano a indicare il tesoro nascosto (Manzoni); o ancora, qualsiasi sevizia o atto di crudeltà, o come fine a sé stessi, per mera brutalità, o come forma legale di pena corporale: ebbe a patire t. inaudite per opera d’inumani aguzzini; la condanna a morte aggravata da torture era inflitta un tempo per i delitti atroci. Con uso fig., grave e prolungato patimento fisico o morale (cfr. tormento), o, per iperbole, molestia assai grave: comincio a star meglio, ma le medicazioni sono una t.; mi mette alla t., o mi dà la t., per ottenere il mio consenso; ascoltare certi discorsi senza poter rispondere come si vorrebbe è una vera t.; non posso sopportare la t. di queste scarpe strette; l’esame non finiva mai, che tortura!

(tramonto dell'occidente)




venerdì 3 febbraio 2017

Confessione


Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell'altro
e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato
per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro e che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d'amore,
le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. È festa: la tua vita è in tavola.
(“Amore dopo amore” di Derek Walcott)


Stare nella testa di un altro. Guardarci dentro. E' un superpotere che mi è toccato in sorte da quando ho scelto di condividere la mia vita con uno scrittore che ha fatto, di fatto, della sua scrittura la sua vita. Saluterai te stesso arrivato alla tua porta, nel tuo proprio specchio.
Rispecchiare.
Ho iniziato, giorno dopo giorno, pagina dopo pagina, a sentirmi parte di una zona oscura, sotterranea. Leggo il buio di un subconscio che non è il mio senza cercare la luce, come se scegliessi di un albero amato, a cui mi aggrappo, di abbracciare le radici e non il tronco solido e frondoso che piace a me e che gli "altri" preferiscono. 
Ecco la sensazione quando leggo o sono personaggio tra personaggi, mi fa un male euforico da anni. Ma mi sembra, comunque, ogni volta un privilegio.
È festa: la tua vita è in tavola.














martedì 13 marzo 2018

Milano-Roma



Oh carin, beattin, mattin, smorbin,
arcadin, poettin, ciccin, contin,
puresin col tossin che in Parnassin
pien d'estrin fa frin frin col ghittarin.

Oh carino, burlino, bigottino,
contino, omino, poetino, arcadino,
capino vanino che in Parnassino
fa estrosino un trillino al chitarrino.
(Carlo Porta nella traduzione di Patrizia Valduga)


Con i versi di Carlo Porta, appena tradotti dalla grande Patrizia Valduga, concludo degnamente la mia trasferta milanese nel Parnassino di Tempo di Libri, consacrato al culto delle nove muse + una (quella del fatturato).
Nel trolley ho infilato alcuni classici di poesia, un Apollinaire, Vita di un uomo di Ungaretti, Poesie scritte con il lapis di Marino Moretti, vecchi testi freschi di vintage, utile carburante per il blog. E anche un tomo sul ghiaccio che si sta sciogliendo per il riscaldamento globale che non so se leggerò mai. Ho messo la passeggiata di un libro di Siti (Piazza Gae Aulenti, il bosco verticale e Sephora) e la Ghisolfa testoriana, qualche sprazzo della tristezza milanese di Milo De Angelis negli scorci brumosi illuminati dai fanali delle macchine che arrivano. La confessione di un amore finito consegnatami da un uomo disperato che non conoscevo. Ci ho anche messo dentro alcuni incontri belli con poeti amici, su tutti Mariangela Gualtieri e Patrizia Cavalli, insieme, per un yin e yang in equilibrio perfetto. La Gualtieri intimista, femminile e introversa e come trafitta da un raggio di luce, Cavalli con il suo sguardo poetico estroverso e dritto ma come screziato da una venatura, alla fine del verso, ogni volta così amara e così tipicamente romana.
A proposito di Roma.
Torno volentieri tra le care e vecchie buche. Non sono abituata all'asfalto liscio, impermeabile, che non si sbriciola. La mia camminata si notava troppo rispetto a quella meneghina doc, io che camminavo guardinga, pronta a schivare una buca che non c'era mai. I miei piedi che arrivavano al selciato prima di quanto preventivato in automatico, come in un settaggio "attenta a non cadere" tutto romano. 
Alle buche, ormai, sono abituata. Ed è solo a Roma che mi rilasso, nell'ansia di inciampare.

(buca milanese)