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venerdì 11 luglio 2014

Libro in valigia

Quale freschezza -
quel suono di gocce
notturne nel pozzo
(Issa 1763-1828)


Il kireji è quella intraducibile parola (o immagine) che designa il luogo, nei tre versi di uno haiku, dove avviene il ribaltamento del significato immediato. Demolisce il mondo che il poeta stesso ha costruito e offre al lettore un'altra visione possibile della realtà.
Inaspettato, sulle macerie dei primi due versi, in quel "notturne nel pozzo", si erge l'epilogo dello haiku con un nuovo significato ancora più profondo. 


A chi ama le cose che non sembrano "quelle", che osa andare oltre l'evidenza, analiticamente e dolorosamente, non può non conoscere "I buoni" di Luca Rastello edito da Chiarelettere.
Confonde le certezze, smaschera il "sentire" comune, abbatte i monumenti eretti dalla cosiddetta società civile attraverso una scrittura curata e lirica, lontanissima dallo stile dei romanzi-denuncia noiosamente giornalistici e molto "buoni", e che ci ricorda l'efferatezza dei salmi.

(sulla mia scrivania)

Il sommario del libro è diviso in tre parti: la prima,  L'uomo del paradiso;  la seconda, Scuola di empietà; la terza, L'uomo dall'inferno. Solo la scuola di empietà, zona melmosa e grigia dove convivono buoni e cattivi, è l'unica certezza. L'inferno e il paradiso puoi confonderli, ti dice Rastello, solo il limbo è netto. Solo la merda dove vivi. Solo il fango che sei. Il punto è che "I buoni" di Rastello non sappiamo più chi sono. Il suo sguardo azzera le certezze. Dove sono i "buoni"? Chi sono? Sono quelli che lavorano nel cosiddetto sociale, rotelle di un ingranaggio che, in "buona fede", è molto vicino ai "cattivi"? E i "cattivi" sono proprio "cattivi"? Abele può diventare Caino?


L'autore ha lavorato nei Balcani, in Africa e conosce la realtà dei ragazzini che sniffano colla nelle fognature di Bucarest. E proviene anche dall'esperienza di operatore del Gruppo Abele:










   

  

lunedì 17 marzo 2014

Farfalle, farfalline e farfallone

Vola una farfalla
sono anch’io
come polvere.
(Issa Kobayashi 1763-1828)


Vicino ai grandi dell'arte contemporanea come Damien Hirst quando dispone farfalle vere come tessere di rosoni iridescenti e sinistri, o come Jan Fabre in questo lavoro, il maestro zen Issa Kobayashi coglie l’aspetto della naturale (e irrimediabile!) caducità delle cose.

La bellezza degli haiku, l’abbiamo detto tante volte, è nella loro incisività. Brevi, trasparenti, illuminanti, semplici, cosmici. Il kigo, vedi QUI e QUI, che Issa ha scelto in questo che propongo oggi, è la farfalla, simbolo della primavera.

Ma il fascino di uno haiku risiede anche nel kireji ovvero in quel drastico ribaltamento concettuale dato nell'ultimo dei tre versi (ku). Qui Issa scrive polvere, elemento naturale eppure così irrimediabilmente brutale, e ci conduce  a riflessioni inaspettate.
Eccoci di colpo lontani dalla rassicurante “gentil farfalletta” annuncio di primavera o da quelle tatuate a go go. O dalle farfalline-gioiello con cui un nostro anziano premier, tra le altre virtù anche farfallone, omaggiava serialmente le sue pudiche donzelle.

Niente di tutto questo. Attraverso la sua poesia, Issa ci sorprende facendoci tornare a quel momento lontano negli anni, ma indelebile nella memoria di ognuno, in cui un adulto ci spiegò che sulle ali delle farfalle c'era una polverina colorata. E che non bisognava toccarla altrimenti morivano!

E noi adesso, come allora, rimaniamo incantati e molto preoccupati. 


(mia)


Una buona settimana piena di cose da cogliere al volo per tutti coloro che subiscono, con me, il fascino di tre ku.