lunedì 4 settembre 2017

Doppio sogno


La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza.
Certo tutti quei piedi sul sofà erano miei.
Il ritratto ovale
di un cane ero io in piú tenera età.
Qualcosa riluce, qualcosa viene azzittito.
A pranzo mangiavamo pastasciutta tutti i giorni
tranne la domenica, quando una quaglia veniva indotta
a esserci servita. Perché ti dico questo?
Nemmeno sei qui.
("Questa stanza" di John Ashbery)


Ho sognato il sogno di una vita parallela per i ragazzi di Rimini, alcuni erano minorenni, sì, quegli stessi ragazzi che hanno compiuto gli stupri.
La loro vita iniziava uguale uguale, laggiù, identico il viaggio da lì a qui, stesse le angosce e le privazioni, molle per la partenza di chiunque. Uguale anche l'approdo. 
Ma poi ho continuato, sognando per loro una vita parallela. La stanza in cui entrai era il sogno di questa stanza.
Avrebbero imparato l'italiano, ottenuto la licenza media e poi un lavoro. Meccanico uno, cuoco l'altro, nel sogno il più grande continuava gli studi, sarebbe andato all'università e di pasticche da spacciare, o da calarsi, neanche mezza. Ecco, sarebbe diventato un medico bravissimo, capace di capire. Di aiutare gli altri.
I tre avrebbero vissuto la seconda vita dalla prima, e si sarebbero fidanzati, avrebbero avuto dei figli dalla ragazza che gli diceva ti amo su quella stessa spiaggia lontana, quella con il mare amico che assomigliava alla Plage de Nation di Rabat, quella con gli eucalipti in riva e i tramonti lunghi.
Un sogno, una vita parallela a quella seconda possibilità, un'esistenza lasciata alle spalle in Congo o in Marocco, un sogno che si realizza. 
Sarebbe stato bellissimo.
Perché ti dico questo?
Nemmeno sei qui.


(Stanza da sogno)

(in morte di John Ashbery)


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