lunedì 24 febbraio 2014

I visibili

Oh! Senza tetto -
E il mio letto di nuovo
umido e freddo!
(Ryōkan 1758-1831)


(Torno subito. Spero.)
Come ce la fanno? Ma non a sbarcare la giornata o a non sentire troppo freddo o a vivere senza che nessuno rivolga loro un cenno. No. Come ce la fanno in Italia a scampare a chi vuole dargli fuoco o in Giappone a chi li vende come cavie umane per testare la radioattività di Fukushima (vedi il pezzo pag 37 di Silvio Piersanti QUI )!
Già. Come ce la fanno a sopportare romanticismi e razzismi insieme? E anche la beffa del politicamente corretto che li chiama "gli invisibili", ma come ce la fanno?

Saranno parenti stretti di Santoka, Bashō e Ryōkan e degli altri monaci zen che vivevano di elemosine. E' l'unica.

Che ne pensate? Buona settimana -in giro nelle nostre città- a tutti!

4 commenti:

  1. tra facile lacrima e testa dall'altra parte.

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  2. Quando ero uno studente universitario, ogni giorno incontravo uomini e donne che vivevano per strada. Erano ben visibili. E parlavano.
    Geremia portava occhiali dalle lenti spesse, capelli lunghi, una fascia sulla fronte. Girava con la chitarra; indossava vecchi pantaloni a zampa d'elefante. Qualche volta entrava nella sala studio autogestita della biblioteca di Lettere, al 36 di via Zamboni, non lontano da Piazza Verdi, e con un cappello in mano chiedeva qualche spicciolo: "Tutto fa brodo: vanno bene anche gli assegni circolari". Disse a qualcuno che prima di vivere per strada, quando sua moglie era viva, faceva il parrucchiere.
    A Bologna non l'ho visto per molti anni. L'ho incontrato un paio di volte di recente, quasi cieco, mentre faceva la spesa al supermercato. Non so dove dormisse venti anni fa. Ora non vive più per strada.
    Ho visto Ahmed per la prima volta in una mensa universitaria in cui, alla fine degli anni '80, entrava chiunque. Al nostro tavolo, seduto di fronte a me, un uomo bevve alcune sorsate dalla bottiglia dell'olio. Era ubriaco, guardava senza vedere. Non riconosceva ancora la lungimiranza del Profeta. Abbiamo parlato solo alcuni anni più tardi. Osservava il ramadan e non beveva più alcolici. Leggeva il Manifesto, parlavamo di politica. Era un venditore ambulante; passava buona parte dell'anno a Bologna, ma in agosto portava la sua bancarella in Sardegna. La moglie e i figli vivevano in Algeria, un fratello in Francia, un altro fratello era sparito per sempre durante la guerra civile. Dormiva dove poteva: per strada, al piano terra della biblioteca 36, in una stanzetta di una parrocchia, in un magazzino, poi a casa di miei amici, in un'auto scassata e forse anche nell'Ape che negli ultimi anni si era comprato. Era andato più di una volta fino in Indocina, in aereo, a comprare piccoli gioielli d'argento, soprattutto anelli e orecchini, per poi rivenderli in Italia. Quando l'ho conosciuto, non era più giovane, cominciava a essere stanco. Da molti anni non viene più a svernare a Bologna. Ha deciso di passare la vecchiaia con la famiglia. Così mi ha detto l'ultima volta che mi ha offerto un caffè.
    Claudio aveva paura di camminare da solo lontano da un muro. Se doveva attraversare piazza Verdi, in cui viveva, mi chiedeva di accompagnarlo. Ero una delle poche persone con cui chiacchierava. Era senz'altro uno degli uomini più sporchi del nostro pianeta. Indossava anche a maggio un grande cappotto, una giacca e un maglione di lana, dalla cui ampia, lenta scollatura, malgrado la barba lunga, si riusciva a vedere bene, poiché non portava camicie, la pelle del collo e del petto sudicia, ingrigita, a tratti screziata di giallo e marrone. Si grattava spesso. Dalla scollatura, tra i peli della barba, insieme all'odore del corpo, una volta era emersa una cimice verdissima.
    Fu ricoverato in ospedale perché una mattina l'avevano trovato svenuto. Seppi che aveva ricevuto un trattamento sanitario obbligatorio. Aveva rischiato di morire, mi dissero, perché aveva reagito male a certi farmaci.
    Poi un giorno, credo che fosse settembre, proprio in piazza Verdi mi viene incontro un uomo piccolo, smilzo, un po' pallido, con la barba corta ben pettinata, che indossa una polo a maniche corte e mi dice: "Sono Claudio". E così Claudio mi racconta che se la passa molto meglio e mi ringrazia.
    Tanti altri mi ricordo, ma qui mi fermo.
    Buona giornata.

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  3. Chiedo scusa per l'invadenza e la logorrea. Lavoro troppo in casa. Dovrei camminare più spesso.
    Ciao,
    L.

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  4. No e ti ringrazio molto del commento che rende ancora più "visibile" tutto. Ciao
    S

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