niente piu' orologio.
Pioggia serale.
(Taneda Santoka 1882-1940)
Leggere la contemporaneità con gli haiku è l'idea di questo blog ma ho bisogno di disintossicarmi dalla miseria e dalla violenza degli episodi cruenti di quel G8: vi propongo la storia dell'autore dello haiku di oggi.
Di Taneda Santoka, il più malinconico e anarchico poeta di haiku moderni, esiste una fotografia che Google-Immagini, quando vogliamo, restituisce. E’ l’immagine di una sosta, una delle tante, nella
ripetizione ciclica e vitale dell’esistenza zen. Osserviamola. Qui Santoka posa compreso, vista l'occasione importante, per quegli anni, di una foto. L'ho scelta perchè c'è tutto il suo mondo: l'orizzonte da guardare e la terra su cui camminare, il cappello e i sandali di paglia, al cui uso cui ha dedicato alcuni componimenti, il suo bagaglio.
La sua ferma compostezza che qui sembra docilmente e modestamente "rappresentata" per chi la guarderà..
(Foto di Santoka dalla rete. Siamo intorno al 1925) |
Alcolizzato, sfortunato e solo,
Santoka viveva di elemosine tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo. Si
separò dalla moglie e dai figli, tentò di fare il libraio, cercò ancora
un posto nella società ma non ci riuscì. Proprio lui, San To Ka, nome che
letteralmente significa Alta Cima Fiammeggiante. Tentò il suicidio ma il
treno frenò. Si fece monaco zen ma non riusciva a stare chiuso in convento.
Diceva di essere nato per camminare, meglio il mondo.
Le soste per riposare gli
consentivano di fare amicizia e soprattutto di annotare gli haiku rimuginati in viaggio.
Allievo di “secondo grado” di Masaoka Shiki, uno dei padri degli haiku moderni e
teorico del rigore e della metrica, attraverso
l’esempio di Kawahigashi Hekigoto (1873-1937), da quest’ultimo apprese il gusto
per un verso libero e privo del canonico schema sillabico 5-7-5.
Fermandosi nelle bettole sulla strada, approfittando
quando possibile dell’onsen del
villaggio, nelle cui acque calde si intratteneva volentieri, Santoka scriverà i suoi haiku più alti e
fiammeggianti, che hanno dato corpo a un diario minimo e cosmico, commovente,
dove trovano posto il saké (e i suoi effetti!) insieme ai germogli delle
piante, le acque termali, un poco di riso dentro una ciotola, il crepuscolo e
il vento.Come compagno il taccuino per gli haiku e ogni tanto la sorpresa di un pugno di riso come elemosina che lo sfamasse. Tutto qui. Morì in solitudine nel 1940, nella sua capanna, mentre alcuni discepoli tentavano di raggiungerlo per dirgli che la sua raccolta sarebbe stata finalmente pubblicata.
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